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Marco Accorti, persona straordinaria e grande amico, ci ha prematuramente lasciato, l’8 marzo 2012. Siamo andati in tanti a salutarlo, nella sede del Consiglio di Quartiere 4 di Firenze, a villa Vogel, che lui stesso aveva fortemente contribuito a rendere disponibile ai cittadini del quartiere come luogo alternativo alla chiesa per cerimonie e celebrazioni laiche. E sono stati in tanti a dare voce al loro personale ricordo di Marco. Le parole che ricorrevano con maggior frequenza erano combattente, coraggioso, e anche io in effetti lo avevo spesso definito con questi termini, erano forse le caratteristiche che colpivano con più immediatezza. Ricordo che ai tempi di piazza Tienanmen mi era venuto fatto di assimilarlo a quell’immagine, proposta su tutti i media, del ragazzo che da solo e a mani nude sfida i carri armati del governo cinese, sbarrando loro il passo.
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Ma la personalità di Marco offriva molte altre sfaccettature. Toscanaccio irriverente e dissacratore, senza peli sulla lingua, leale e sincero (anche troppo, fino alla provocazione!), poco disposto a mediare, soprattutto con chi non gli andava a genio, generoso, presente e partecipativo con le persone amiche e nelle battaglie politiche, civiche e sociali, alle quali si dedicava con grande impegno.
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Toscanaccio ho detto, ma in verità era nato nel cuore di Firenze, e a chi gli chiedeva se era toscano rispondeva ‘No, son fiorentino’… be’, toscano era di sicuro il suo fido sigaro che sempre lo accompagnava, a volte alternato alla pipa.
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La mia amicizia con Marco risale al 1978, quando si trasferì dalla sede fiorentina dell’Istituto Sperimentale per la Zoologia Agraria (ISZA) alla sezione di Apicoltura dello stesso istituto, a Roma, dove io lavoravo da alcuni anni. Simpatizzammo molto presto, e qualche volta ci si vedeva anche fuori dal lavoro, con le rispettive famiglie (le nostre bambine erano coetanee). Questo mi ha permesso di instaurare anche con Sandra, la sua compagna, un rapporto di simpatia e affetto che, seppure senza frequentazioni assidue, dura tuttora. E mi ha anche permesso di testimoniare, con ammirazione, la straordinaria forza e intensità del loro legame di coppia.
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Come ricercatore Marco distaccava di parecchie lunghezze la media dei colleghi (e questo, unito ai suoi modi diretti e poco accomodanti, non mancava di creare alcuni attriti). La sua intelligenza brillante, rapida, curiosa e immaginifica gli suggeriva idee sempre nuove e spesso avveniristiche, in largo anticipo rispetto ai tempi, in cui si lanciava con entusiasmo e alacrità.
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Quando l’Italia recepì la direttiva europea sul miele, Marco fu il primo a verificare la rispondenza dei nostri mieli a quelle prescrizioni, aprendo la strada ai successivi studi che hanno portato negli anni alla caratterizzazione dei mieli italiani, con importanti ricadute in termini di valorizzazione del prodotto, ma anche di crescita professionale degli apicoltori.
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Fu ancora il primo a rinvenire la varroa nel Lazio, quando ancora la si credeva circoscritta ai confini nord-orientali del paese (poco dopo si sarebbe accertato che era praticamente ovunque) e, in collaborazione con i colleghi dell’università di Udine, avviò i primi studi sulle possibili strategie di lotta a questo letale parassita delle api.
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Promosse e curò la pubblicazione della rivista scientifica Apicoltura; affrontò il problema della possibile presenza di radioattività nel miele dopo l’episodio di Chernobyl; in collaborazione con l’università di Bologna introdusse e sviluppò in Italia l’impiego dell’ape come insetto test in studi di monitoraggio ambientale; approfondì il problema dell’impatto dei fitofarmaci sulle api, indicando strategie comportamentali in grado di attenuare la contrapposizione fra apicoltori e agricoltori; ideò il vasto progetto di ricerca ‘Ape-Miele-Ambiente’, coinvolgendo tutte le istituzioni scientifiche che si occupavano di apicoltura in Italia, al fine di condurre indagini coordinate a livello nazionale sui temi di maggior rilievo in apicoltura; condusse un importante studio mirato a quantificare l’apporto economico che deriva dall’impollinazione effettuata dalle api sulla flora coltivata e spontanea…
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Insomma, un vero ricercatore a tutto tondo, infaticabile, prolifico e innovativo, con una visione ampia e globale del ruolo insostituibile che api e miele svolgono, nel nostro contesto iper-antropizzato, come indicatori della qualità del territorio in termini ecologici sociali e culturali.
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La nostra collaborazione professionale era ottima, basata su reciproca stima e intesa sul piano umano, ma anche su un’efficace complementarietà: lui continuava a tirare fuori conigli dal cilindro, concependo progetti sempre nuovi che a volte io, più ‘conservatrice’, inizialmente faticavo a condividere, non riuscendo a vederne le ricadute pratiche. Ma, una volta convinta, ero poi più tenace di lui nel portare il lavoro fino in fondo e lo spronavo a rimanere ‘sul pezzo’ quando cominciava a stufarsene, magari solleticato da altre idee.
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Quando nel 1986 Marco rientrò a Firenze, ci sentimmo tutti e due un po’ orfani, ma a dispetto della sua non facile ricollocazione nella sede centrale dell’ISZA, riuscimmo, almeno su alcune tematiche, a portare avanti la nostra collaborazione, e continuammo sempre ad essere partecipi ognuno del lavoro dell’altro.
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Purtroppo a un certo punto problemi di salute piuttosto seri lo costrinsero ad un pensionamento anticipato, ma certamente la sua mente vulcanica in pensione non andò mai. Non potendo più accedere ad attività di tipo sperimentale si tuffò in investigazioni certosine di approfondimento storico e bibliografico, da cui scaturirono diverse pubblicazioni. In una di esse si segue, lungo un arco di oltre 200 anni a partire dalla seconda metà del ‘700, l’antica controversia che vede le api ingiustamente accusate (anche in tribunale) di danneggiare frutta e uva[1]. Di importanza notevolissima un’esaustiva rassegna di tutta la letteratura italiana su api e miele dalla metà del ‘400 al 1998, con oltre 3800 titoli accuratamente schedati[2]. In una terza pubblicazione si ricostruisce, attraverso una vera e propria inchiesta poliziesco-bibliografica, la storia di due fratelli ticinesi vissuti nell’800 e dediti, inutile dirlo, all’apicoltura [3].
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Andando avanti con gli anni, soprattutto dopo il mio pensionamento, e con la nascita dei rispettivi nipotini, l’argomento dei nostri scambi si era spostato più sul personale, con una forte accentuazione sulle nostre gioie di nonni: grandi emozioni e grandi soddisfazioni… per lui durate un tempo amaramente breve! Riccardo, il maggiore, deve ancora compiere 5 anni.
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Ricordo che quando era a Roma Marco aveva come screen-saver una frase che scorreva sullo schermo del suo computer: ‘Nadie me quita lo bailado’, nessuno può togliermi ciò che ho ballato.
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Quello che Marco ci ha dato e ci ha insegnato rimarrà profondamente radicato nel nostro affetto e nella nostra memoria. E nessuno potrà togliercelo.
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Livia Persano Oddo (già direttrice della Sezione di Apicoltura dell’Istituto Sperimentale di Zoologia Agraria)
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[1] M. Accorti – Ti odio, sorella ape – Picche, ripicche, accuse, calunnie, assoluzioni: una storia senza memoria. Comune di Monsummano Terme, 1997, 62 pp.
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[2] M. Accorti – Le api di carta – Bibliografia della letteratura italiana sull’ape e sul miele. Olschki Editore, Firenze, 2000, 284 pp.
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[3] M. Accorti, L. Cortesi – Una storia ticinese, ovvero I buchi della memoria. Società Ticinese di Apicoltura, 2005, 184 pp.
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