GLI INCONTRI DI “TERRA MADRE” 2008 – Volti di ambasciatori del miele da tutto il mondo
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Quest’anno si ripeterà l’incontro biennale di Terra Madre, a Torino. Organizzato da Slowfood, Terra Madre è un grande momento di incontro tra appartenenti a diverse “comunità del cibo” (10allevatori,contadini, pescatori, produttori artigianali di alimenti) provenienti da ogni parte del pianeta. Questi sono solo alcuni degli apicoltori incontrati durante l’edizione di Terra Madre del 2008.
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Pandu appartiene ad Appiko (10“Abbracciamo gli alberi”), un movimento per la conservazione dell’ambiente iniziato nell’ Himalaya, che ha ispirato un’ iniziativa analoga, anni più tardi, nella provincia del Karnataka, nel Sud dell’India. Appiko si batte contro la deforestazione nei Western Ghats, una vastissima area montuosa coperta da foreste pluviali parallela alla costa occidentale dell’India. Paragonabile per importanza alla foresta amazzonica, non riceve altrettanta attenzione e stanziamento di fondi per la sua conservazione. E’ soggetta da anni a un processo di degrado causato dalla deforestazione, un degrado che si ripercuote sulle riserve d’acqua così come sull’aumento di carbonio nell’atmosfera e, conseguentemente, su un sensibile cambiamento del clima. L’aumento della piovosità per esempio, ha avuto un drammatico impatto nella posticipazione di fioriture indispensabili allo sviluppo delle colonie d’api.
Appiko fa parte di Non Timber Forest Products (10“prodotti della Foresta non di legno”) una rete di organizzazioni non governative del Sud e Sudest asiatico che lavora con le comunità della foresta per rinforzare la capacità di usare in modo razionale, economico e ricostitutivo le risorse naturali, per impedire la deforestazione e per tentare di rinverdire le zone già devastate.
Quando nel 1992 Pandu cominciò a lavorare con Appiko, la FAO voleva introdurre nei Western Ghats l’apis mellifera generalmente usata in occidente nell’apicoltura produttiva. La richiesta degli apicoltori era di verificare se questa razza fosse buona per la loro regione. In Bangalore non si era rivelata buona. Una delle preoccupazioni era che queste api “esotiche”potessero portare malattie. Appiko ha contattato cinque tra i maggiori esperti a livello mondiale ponendo loro due quesiti: se, introducendo un’ape non autoctona, si sarebbe prodotto più miele e se ci sarebbero potuti essere dei problemi. La risposta ha fornito argomenti per l’utilizzazione e la rivitalizzazione di razze autoctone, quali la cerana, un’ape che può essere allevata in semplici arnie, la florea, un’ape selvatica di piccole dimensioni che vive su un solo favo, la dorsata, l’ape gigante che nidifica all’aperto, su sporgenze rocciose o sui favi di grandi alberi. La mellifera riesce in effetti a funzionare bene solo in aree ad agricoltura industriale o a monocultura. Non funziona per esempio su fioriture come quella del cardamomo, che avviene durante il monsone e quindi in condizioni di piovosità, in cui la mellifera non lavora.Una campagna condotta con la mobilitazione degli apicoltori ha indotto il governo locale a cambiare linea, dopo anche il fallimento di un primo esperimento nell’area con 100 colonie di mellifera. Appiko organizza festival del miele, con molto coinvolgimento dei bambini, e fa una campagna di valorizzazione del miele prodotto da apis dorsata, che viene conquistato dai cacciatori di miele, arrampicandosi senza protezione e a rischio della vita sulle alte sporgenze rocciose dove l’ape gigante nidifica. E’ parte della cultura di questi cacciatori di miele non saccheggiare completamente le riserve delle api, ma prelevarne una parte soltanto, per consentire la ripresa delle colonie. L’apicoltura-dice Pandu- è come la meditazione.
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Nick è inglese. Co-presidente di Slow Food nella città di Bristol, è apicoltore amatoriale.Ha una casa in Spagna, in Galizia, dove passa alcuni periodi dell’anno e dove con le api è a stretto contatto davvero: due alveari trovano infatti riparo in un vano appositamente costruito nel muro dell’antica casa. Ne ha anche tre rustici di corteccia, con la tradizionale croce all’interno, oltre a cinque moderni tipo Langstroth. Quelli nel muro sono a contatto diretto con la stanza, ma di giorno le api non ci entrano. Di notte, era possibile chiuderli dall’interno con una porticina, per evitare che, attratte dalla luce, entrassero nella stanza. Le porticine originali risalivano al 1600, erano in pessimo stato ed era difficile aprirle e chiuderle, così Nick le ha sostituite con una doppia porticina e uno strato di vetro per mantenere le api a vista. Questi vani si sono riempiti di favi e d’api fino a traboccare, e le api hanno finito per lasciare l’alveare. Al loro posto sono entrati spontaneamente due nuovi sciami, il cui arrivo è stato preannunciato da un’attività di esplorazioni durata un mese che Nick ha potuto osservare. Nick smiela gli alveari rustici nel modo tradizionale, togliendo prima dell’inverno i favi al di sotto della croce, pressandoli e facendoli colare dall’interno di un filtro di cotone. Fino ad ora non ha avuto problemi con la varroa, così come sembra nessuno dei suoi vicini.
Nella zona c’è un’agricoltura di sussistenza, frammentata in piccoli appezzamenti: un campicello, un maiale, un po’ di mucche per le quali viene coltivato mais, si coltivano anche patate, mele, vigne, cavoli per l’alimentazione animale.
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Nicola e Monica sono inglesi. Lavorano per l’organizzazione “Bees for Development”, un network di apicoltura che collega paesi in via di sviluppo a cui sono fanno riferimento più di 10mila persone. Prima del 1993, Nicola aveva lavorato con Eva Crane all’International Bee Research Insitute (10IBRA), che ha lasciato per creare Bees for Development. Dalla sua sede di Monmouth, nel Galles, rispondono a qualsiasi richiesta di apicoltori di paesi in via di sviluppo, e ricevono almeno una ventina di richieste al giorno tramite e-mail, telefonate e semplici lettere. Hanno creato un giornale. Aiutano la formazione in loco con materiali didattici, nella convinzione che vadano sostenuti i metodi locali di allevamento e produzione di miele, e che non si debba cercare di impiantare i metodi europei. Sostengono progetti di ricerca, uno in particolare, che coinvolge due università inglesi, ha come oggetto l’ interazione tra biodiversità della foresta e possibilità di sussistenza delle popolazioni locali. Cerca di esibire le prove di come per queste popolazioni, per cui il miele è una importante risorsa, l’ integrità della foresta sia indispensabile. In Uganda e in Sudan sono intervenute per facilitare la circolazione del prodotto, di fronte al fatto che gli apicoltori avevano il loro miele invenduto, e i commercianti si lamentavano di non trovarlo.
Fin dal 1970 Nicola era interessata ai temi del cibo e dello sviluppo, ed era colpita dal fatto che nessuno si preoccupasse di apicoltura, visto che “al 100% mantiene la biodiversità anziché toglierla”. “L’apicoltura non è classificabile come agricoltura, né come semplice servizio di impollinazione, né come orticoltura, non calza in nessuna casella ed è proprio la sua marginalità trasversale a darle valore”. Quando sono state in India, l’ha colpita il fatto che Gandhi, tra le attività tradizionali che preconizzava per rivitalizzare la cultura e l’identità indigena, insieme alla tessitura e alla filatura includesse l’apicoltura. E Monica aggiunge che quello che vuole non è “un’apicoltura intensiva ricalcata sull’agricoltura intensiva.” Siamo” dice “per un’ apicoltura Slow”
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Constantin e Ion vengono dalla Moldova, uno dei paesi più poveri d’Europa, essenzialmente agricolo dopo il crollo dell’industria sovietica. Conta 1 milione di emigrati su 4 milioni di abitanti: solo in Italia ci sono 350mila moldavi. Constantin ha un centinaio di alveari, ci lavorano in tre della sua famiglia, e hanno anche un’attività di turismo rurale. La zona di Cãlãraşi, dove vive, è fatta di boschi molto fitti, in collina, con tigli, acacie, faggi, querce, abeti. Insieme alle escursioni, propongono ai turisti anche l’assaggio dei loro mieli, di tiglio, di acacia e millefiori. Non fanno nomadismo e preferiscono una produzione piccola, ma di qualità e orientata ai turisti, per poter tenere i prezzi più alti. I mieli vengono presentati in associazione alle loro pretese proprietà per la salute. Constantin produce anche idromele. In Moldova ogni apicoltore deve essere membro dell’Associazione Apicoltori della Repubblica Moldova e riceve un passaporto dell’allevamento, L’associazione organizza fiere, riunioni e convegni e ha una forte interazione con l’apicoltura romena. Sono molto pochi gli apicoltori con 400-600 famiglie d’api, dominano le piccole aziende con 50-200 alveari.
Ion, figlio di un’apicoltrice di vecchia data e apicoltore amatoriale lui stesso, è presidente dell’Associazione Orticoltori Amatoriali “Demetra”. Per aiutare l’apicoltura organizza fiere, come quella del 1° marzo nella capitale, Chişinau, la Festa del miele e della Fragola. Cerca di promuovere un prodotto ecologico e di propagare l’utilizzazione di api carpatiche. Il fine di molte delle sue attività è diretta ad aiutare sordomuti, bambini orfani o malati terminali di cancro.
rnMaria Delia, argentina, è presidentessa di una comunità di Slowfood di Mar de Plata dove si organizzano eventi, formazione, corsi di educazione del gusto. Fa anche parte del “Grupo Amerindia” una cooperativa di 6 produttori nomadi, che portano le api nelle zone di Mar de Plata, Bahia Blanca e le isole di fronte al delta del Paranà, dove proprio l’anno prima hanno perso un centinaio di alveari per un’inondazione. Portano anche api in Uruguay nella regione di Rocha. Una zona caratterizzata della diffusione della butia, una palma la cui altezza può oscillare tra i sette e i a nove metri con un diametro di 40-60 centimetri e foglie di colore verde-grigio di 2-3 metri di larghezza. Esiste solo in questa piccola parte del mondo, che è stata dichiarata dall’UNESCO Riserva della Biosfera Naturale. E’ una zona di lagune, dove si fermano anche molti uccelli. Essendovi diffusi gli allevamenti bovini, i giovani ributti delle piante vengono costantemente mangiati, rendendo difficile il rinnovo della foresta. Ricostituire la foresta non è un compito facile, perché, anche dove i bovini vengano esclusi, i giovani ributti della palma, lenti a crescere, sono in competizione con le altre piante per la luce del sole. La palma dà luogo a un miele molto particolare, che la Facoltà di Agronomia dell’Università dell’ Uruguay ha cominciato a caratterizzare fin dal 1995-96. Secondo Maria, assomiglia al miele di alta montagna italiano del presidio Slowfood. Maria è coinvolta nella ricostituzione della biodiversità e della interazione tra uomo e foresta nella Rocha, dove è rimasto un solo produttore del miele locale. Per lei è importante tornare a collocarvi alveari, con api autoctone, e magari cercare di vendere il miele della palma come miele raro. Nella cultura argentina delle grandi produzioni da esportazione, Maria e i suoi amici trovano ancora modo di vendere produzioni esigue come “edizione limitata”, a un prezzo speciale.rn
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Peter vive a Londra. Si occupa della produzione di finestre tradizionali ecologicamente compatibili, che vengono realizzate in Germania su design inglese. E’ un gastronomo colto, di quelli che dei libri di cucina leggono anche tutte le prefazioni, e anche l’apicoltore ufficiale del Chelsea Physic Garden: l’unico autorizzato a tenerci le api e il fornitore del miele al negozio del giardino botanico. Pochi alveari, ma una produzione di 50-60 chili per alveare. Il Chelsea Garden , fondato nel 1673 per insegnare agli apotecari i benefici di diverse specie di erbe medicinali, si estende su un’area di po’meno di due ettari, in prossimità del Tamigi. Il suo scopo è di tenere specie di erbe, spezie e piante, a volte molto rare, per altri giardini botanici e apotecari di tutto il mondo. Una diversità di specie ricchissima, che confluisce nel miele conferendogli un odore di tipo aromatico-canforato e in sapore aromatico-floreale, rotondo, complesso, accattivante. All’analisi pollinica domina il polline di ippocastano, le ramnacee, il melo e il pero, il pruno, il rovo, le boraginacee, il biancospino, l’ ailanto, il salice, la pracanta, esculus carnea, edera, robinia, trifoglio, ippocastano rosso.
E’ stato per la prima volta a Terra Madre nel 2006, come rappresentante dell’Associazione Apicoltori di Twickenham e della valle del Tamigi. In quell’occasione aveva chiesto al giardino botanico di Chelsea dei campioni di miele da portare a Terra Madre. Poco dopo è venuta a mancare l’apicoltrice che teneva le api al Chelsea Garden, e proprio Peter è stato prescelto, dopo una serie di colloqui della direzione con apicoltori londinesi, per assumere quel ruolo. A Terra Madre Peter si è presentato con una petizione da far firmare agli apicoltori di tutto il mondo, destinata a essere presentata al Parlamento inglese il 5 novembre a venire: la data coincideva con quella della “congiura delle polveri”, nel 1606, il cui obiettivo era far saltare il parlamento. Gli apicoltori inglesi hanno voluto maliziosamente evocarla nella loro manifestazione, presentandosi coi loro affumicatori fumanti.
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Olivier, francese, è un artista che ha fatto dell’ apicoltura urbana una forma d’arte e di ricerca. Ha cominciato nel distretto Seine-Saint Denis, a nord di Parigi, collocando degli alveari sul tetto del Comune. Ha continuato a Parigi, sistemando per la strada le sue installazioni per l’apicoltura urbana. Ha dato al miele così prodotto il nome di “Miele-Cemento”. Olivier ne invasetta una varietà primaverile, più chiara e delicata, e una estiva, più scura e di sapore più intenso. “Questo miele” sostiene Olivier “è l’immagine gustativa di un paesaggio urbano. Esso “ci parla della città e ce la dà da mangiare”. Olivier ha fatto analizzare i pollini contenuti nel suo miele urbano traendone una mappa delle stratificazioni culturali, della struttura urbana e dei movimenti umani (10essendo l’uomo, più ancora del vento, un trasportatore inconsapevole di sementi). Allora “il miele non è più un fine, ma un inizio, l’inizio di un’esplorazione che ci permette di intrecciare storia e geografia, di riappropriarci di cose che appartengono a tutti, un bene comune”. Persino polline di olivo, di eucalipto, di cannabis, di piante tropicali sono rintracciabili nel miele dell’apiario di saint Denis.
Il “Miele-Cemento” è stato ripetutamente premiato, ogni anno a partire dal 2001 (10con oro, argento o bronzo) al Concorso Agricolo Nazionale.
Olivier asserisce di produrre 4-5 volte più raccolto degli apicoltori della campagna circostante. Dice di aver accertato che il miele non fissa il monossido di carbonio e dunque sostiene convintamente e orgogliosamente il paradosso per cui il paesaggio urbano sarebbe un ecosistema propizio per le api, a causa sia del clima che del fatto che le api non subiscono trattamenti coi pesticidi.
Nei viali di Parigi, le sue installazioni permettono di osservare la vita delle api all’interno di una struttura protetta che permette il volo solo verso l’alto, oppure di prendersi una siesta cullati dal ronzio delle bottinatrici.
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Eladia fa la maestra e la produttrice di api regine nella zona di Entre Rios, nel centro dell’Argentina, una zona dove c’è bosco ed è diffuso un arbusto che chiamano chilca, una pianta grassa appiccicosa e succosa. Il miele della zona è di sapore delicato e di colore ambrato. In Argentina si tende a considerare apicoltore professionista chi ha almeno un migliaio di famiglie d’api. Eladia di famiglie d’api ne ha venticinque, e la sua produzione è di regine. Si era trovata senza lavoro, insieme ad altre quattro donne. Hanno deciso di cominciare qualcosa insieme. L’Istituto Nazionale Tecnologico Argentino ha offerto loro la possibilità di seguire un corso di formazione, iniziando la produzione di regine all’interno di un progetto nazionale: erano già state selezionate certe linee genetiche e c’era bisogno di apicoltori che seguissero queste linee. In 5 donne, le Mujeres Apicultoras de Macia, hanno formato questo allevamento, hanno ognuna il suo apiario, in cui tre famiglie ciascuna sono dedicate all’allevamento di regine. Con queste 15 famiglie producono 3000 celle reali a stagione. Le celle vengono fornite al produttore di regine il giorno prima della schiusa, e vengono fatte fecondare da lui. L’attività di apicoltura basterebbe da sola a farla sopravvivere, dice, anche senza l’insegnamento. Del suo lavoro le piace tutto, soprattutto guardare il traffico delle api dentro e fuori dall’arnia, il contatto con loro. Le piace lavorare all’aperto, perché è cresciuta in campagna. Eladia ha 5 figli. Una figlia studia astronomia all’Università, ed è per mantenerla agli studi che continua entrambi le occupazioni. Se dovesse scegliere, dice che sarebbe disposta a lasciare l’insegnamento, piuttosto che l’apicoltura. I figli la aiutano montando i telaini, in cambio di una paghetta “Così lavorano e imparano il valore delle cose”.
E’una zona di droga, e coinvolgere i bambini in un’impresa famigliare serve anche a tenerli fuori dal giro.
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Carrol è americana. Ex produttrice cinematografica, oggi fa l’allevatrice e vive sulle Catskill Mountains, un’area naturale montuosa nello Stato di New York. E’ apicoltrice da 30 anni e ha una trentina di alveari. Ha iniziato con le api, in seguito ha aggiunto maiali, mucche, tacchini, polli.
Le piace pensare che la carne delle sue mucche abbia un sapore migliore per la presenza, nella fattoria, delle api, che pascolano nei campi di trifoglio e di erba medica. Nella zona c’è anche abbondanza di timo selvatico, aster, melo e tarassaco. Anche l’erica fiorisce spontanea, ma lei ne ha piantata in più, “per aggiungere un sapore nuovo”. Carrol ha imparato da due vecchi apicoltori, che si sono succeduti nell’insegnarle. Nella zona c’è un’Associazione che raggruppa un centinaio di apicoltori. C’è molta socialità, molto scambio di informazioni. Combatte la varroa con trappole da fuchi, e con acido ossalico oppure acido formico. Per diagnosticare il livello di infestazione, cattura un centinaio di api, le spolvera di zucchero a velo. Se cadono una decina di varroe, la considera una forte infestazione. Dell’aethina tumida Carrol parla come di qualcosa che sta appena arrivando. E il cosiddetto CCD? Pochissimi casi nella sua zona, che lei sappia.Nella sua zona c’è poca agricoltura, quindi pochi pesticidi. Usa regine russe o Buckfast.
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David ha 43 anni e viene dalla Costa d’Avorio. Ad arrivare a Terra Madre, a procurarsi il biglietto aereo, tutte cose non facili dal suo villaggio, l’ha aiutato Giovanni Guido, veterinario e tecnico di Aspromiele, di cui David è stato ospite in Italia. Che sorpresa dev’essere stata per lui una moderna casa europea: “Non c’è il secchio?” ha domandato entrando nel bagno. E ha rassicurato i suoi ospiti che non c’era bisogno che qualcuno si disturbasse per lui a mettere sul fuoco l’acqua calda per il bagno, meravigliandosi poi davanti al rubinetto da cui l’acqua calda scaturiva.
David ha portato a Terra Madre il suo miele, un miele tipicamente tropicale, scuro, con un forte sapore di frutta matura odi marmellata.
Dopo una formazione presso una scuola artigianale, David ha cominciato a imparare l’apicoltura e la tecnica costruire alveari da un esperto israeliano. Tornato nel suo villaggio, con l’aiuto di Giovanni ha popolato i primi alveari, e altri ne ha fatti costruire da un falegname. Normalmente si tratta di casse a 12 telaini che vengono appese agli alberi di mango, aspettando che si popolino spontaneamente di api. Si passa tutti i giorni, e quando le api compaiono si annota il giorno, e si attende due settimane per ritornare, in modo che si siano assestate nell’arnia e che non se ne ripartano. Sono api molto aggressive: ci si lavora la notte,usando generosamente l’affumicatore e con l’aiuto di una torcia elettrica, dopo aver controllato bene che non ci siano buchi nella tuta, e di solito ci si va in due.
Si smiela dopo un mese, ritagliando i favi di cera dai telaini, che vengono reinseriti vuoti nell’alveare. I favi, schiacciati con un pestello, vengono inseriti in un filtro, che può essere una calza da donna, e il miele colato in un secchio. Il miele poi venduto al litro nel giorno di mercato. L’associazione di apicoltori non è molto sviluppata, David ne è il responsabile. Il miele in Costa d’Avorio viene usato soprattutto come medicina, per l’afasia e il mal di gola.
Quando la guerra civile, che ha infuriato in Costa d’Avorio tra il 2002 e il 2007 è arrivata al suo villaggio, i guerriglieri hanno saputo che si occupava dell’associazione apicoltori gli hanno portato via tutto. Ma le arnie sono rimaste nella boscaglia.Quando è potuto ritornare, tre anni dopo, al villaggio, quasi tutte le casse erano marcite per la pioggia, ma in due o tre erano rimaste delle api. Al ritorno ha cominciato a raccoglier soldi per pagare il falegname, e riprendere l’attività.
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Bisi, Tunde, Isaiah, Olugbenga, Idris, Alalekan e Brian. Sono tutti nigeriani, e anche il britannico Brian porta intorno al collo un cartellino di riconoscimento dove è scritto “Nigeria”.
Bisi è l’unica donna del gruppo, e vive un po’ in Inghilterra, dove ha una piccola fattoria nel Dorset, un po’ in Nigeria. Insieme con Brian, lavora per Bees Abroad, un’organizzazione che sostiene o cerca finanziamenti per progetti in Camerun, Ghana, Nepal, Malawi, Uganda, Nigeria e Kenya. 6 anni fa hanno contattato Tunde e cominciato a creare una rete, a partire dalle persone che già conoscevano, nel Nord e nel Sud del paese.
Le tecniche di allevamento sono quelle tradizionali, senza uso di trattamenti chimici, né pratiche di nutrizione, e con un interesse a sorgenti nettarifere non monocolturali. Il criterio portante è: produzione locale-vendita locale.
L’ape utilizzata è la Apis Mellifera Adamsoni, che tende molto facilmente ad abbandonare l’alveare perché è molto sensibile all’intervento umano, e va trattata con grande perizia. La raccolta è cooperativa e il miele viene filtrato , invasettato ed etichettato e vendute in bottiglie di plastica da 25 o 50cl.
In Nigeria il miele ha tanti usa i tradizionali: nei battesimi, nei funerali, in occasione della nascita di un bambino (10il miele viene versato sulle mani, leccato e si prega per il bambino), nei matrimoni, dove si accompagna all’augurio “Il tuo matrimonio sarà dolce come il miele”. Viene anche utilizzato nella preparazione di medicine, ed è Idris l’Uomo della medicina del gruppo.
Si è cercato di diversificare i prodotti dell’alveare e quindi di preparare anche candele, creme e sapone con la cera e di utilizzare anche la propoli, preparata in estratto acquoso o in alcool.
(10a cura di Paolo Faccioli)
“Un ringraziamento per le foto a Giovanni Guido, Nick Miller, Chiara Dai Prà, Ion Ciocan, Olivier Darnè”
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ALTRE FOTO
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Constantin e Ion: la festa del miele e della fragola | Constantin e Ion: la festa del miele e della fragola |
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Constantin e Ion: apicoltura con l’arnia tradizionale moldava | rn
Nick: Convivere con le api nella stessa stanza rn |
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L’antica casa di Nick in Galizia | Nick: Lavorare alle api in casa propria |
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Nick: Lo sportello dell’alveare all’interno della casa | Nick: Piccole colonie crescono |
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Peter davanti al Parlamento | Peter: la manifestazione degli apicoltori il 5 novembre 2008, davanti al Parlamento inglese |
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Olivier: Siesta con le api in un viale di Parigi | Olivier: Alveare sospeso tra due alberi a Parigi |
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Installazioni per l’apicoltura urbana di Olivier a Parigi | Installazioni per l’apicoltura urbana di Olivier a Parigi |
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Idris, l’Uomo della Medicina | Installazioni per l’apicoltura urbana di Olivier a Parigi |
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Apicoltori nigeriani | Apicoltore nigeriano |
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CONTATTI
Eladia Weber: 03445 15407948 mujapic@hotmail.com
Peter James : peter@greatgourmet.co.uk
Ion Ciocian: office.demetra@mail.md
Constantin Stegarescu (10Casa Mierii) 0037367121862
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Pandu (10Pandurang Hegde): appiko@sancharnet.in
Nicola e Monica : info@beesfordevelopment.org
Bisi e Brian: info@beesabroad.org.uk
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